A colloquio con Paolo Assenza
di Gianfranco Valleriani
Sono diversi anni che conosco e seguo Paolo Assenza. Rimasi colpito fin dalla prima opera che vidi. Fisica e immateriale, tecnologica eppure antica. Vi trovai sguardo, ascolto, concentrazione, silenzio. Di fronte a “del corpo senza peso” – l’opera site specific che chiude il ciclo di attività di 10 anni dell’Associazione TRAleVOLTE – ho provato la stessa sensazione.
E davanti a quest’opera parlo con Paolo.
Da cosa sei partito?
Quando ho saputo della mostra, ho subito pensato che l’opera avrebbe dovuto avere un rapporto stretto con l’“architettura”, essendo TRAleVOLTE un’associazione che opera in questo ambito. E il confronto ha riguardato non solo la mia dimensione artistica ma anche quella personale.
Ovviamente, il richiamo diretto è stato alla Scala Santa, che si trova alle spalle di questo suggestivo spazio espositivo. Il cuore nel concepire la mia opera era li. Per questo ho pensato che dovevo vivere l’esperienza della Scala Santa ed entrare nello spirito del luogo.
Così lo scorso anno ho per la prima volta visitato la Scala Santa, che si dice percorsa da Cristo, e ho seguito i pellegrini salire in ginocchio i 28 scalini e sostare su ciascuno di essi. Una pratica di sofferenza per il credente, che espia in questo modo colpe e peccati, per arrivare redento alla fine del percorso. E ho notato la pratica secolare dei fedeli di mettere tra gli scalini, nelle fessure esistenti, preghiere o richieste di grazie e di perdono.
Salendo, anch’io in ginocchio, ho percepito questo elemento di fisicità del corpo, su cui si impernia il rituale della salita. Ed è proprio sul peso del corpo e della carne, su cui gravano tutti i dolori e i mali, e sulle preghiere, come momento di superamento delle colpe e del male, che ho iniziato a ragionare per la mia opera.
Ho sentito che sarei dovuto partire dal concetto di leggerezza, una dimensione opposta a quello che si prova salendo sulla scala Santa, appropriandomi invece del senso e della dimensione della preghiera. Sono così arrivato alla mia scala immateriale , “del corpo senza peso”, una scala che si può percorrere senza il peso del proprio corpo, ma disseminata anch’essa di preghiere vere.
Credi che quest’opera abbia un significato particolare nel tuo percorso artistico?
Si con quest’opera c’è un “passaggio” nel mio lavoro. Come se fossi arrivato a quegli orizzonti dipinti fino a poche settimane fa, trovando una scala per salire su un altro piano.
Negli ultimi tempi ho dipinto orizzonti e un punto cerchiato, che era la mia direzione. Immaginando di oltrepassare quel momento, mi sono sempre chiesto cosa avrei trovato in quell’orizzonte. Alla fine ho trovato una scala che adesso mi sta portando a ragionare su un altro momento del mio lavoro. Certo, c’è un passaggio che adesso devo probabilmente compiere. Forse ci saranno per me ventisette opere da realizzare…
Uno in meno rispetto ai 28 scalini della Scala Santa.
Gli scalini della mia opera sono 27, uno in meno rispetto a quelli della Scala santa, perché sono il punto di incontro tra la pedata e l’alzata.
Cosa prevedi potrà esserci dopo?
Sto ancora elaborando l’esperienza di quest’opera, che è qui davanti a me. Il giorno dell’inaugurazione ho visto gente entrare e restare in totale silenzio, guardare i gradini che fluttuavano leggermente nel vuoto, seguirne i leggerissimi movimenti… guardare i toni bianchi del marmo che si riflettevano sul fondo nero…. Sto ragionando su queste immagini, sull’immateriale e non so dove il mio ragionamento andrà a finire.
Questa volta ti sei avvicinato all’architettura. Ma è un percorso che compi sempre, in quasi tutte le tue opere.
Mi diverte spostarmi in dimensioni attigue alla mia espressività pittorica, quali il video, le installazioni, le performance, la danza, il teatro, in cui mi sono anche formato.
Sono per me percorsi di completamento. Fare arte per me è un processo di attraversamento.
Quando sento l’esigenza di una nuova forma d’espressione allora lo cerco, la affronto, ci entro dentro, poi ne esco e ritorno di nuovo alla mia strada maestra, che è la pittura.
Vissuti ed esperienze che mi arricchiscono quanto torno a dipingere.
Ma c’è invece una sorta di continuità nell’esperienza che proponi allo spettatore.
Lo avvicini ad un elemento di materialità e poi gli proponi una sorta di estraniamento, di allontanamento, forse di trascendenza…
Credo ci sia qualcosa di molto vicino a tutto ciò, che vivo però in modo giocoso. Più che spirituale, lo chiamerei un “essere assente”, un’assenza per richiamare il mio cognome… Ma è per me un processo spontaneo, perché non mi porto dietro alcuna tradizione o formazione di tipo religiosa o meditativa.
Nel tuo primo lavoro che ho visto, facevi salire il pubblico su una scala per poter guardare da una finestra un computer sul cui schermo era visualizzato un cerchio che si trasformava lentamente. E il tuo pubblico, in fila, sostava per diversi minuti sulla cima di una scala per catturare queste piccole trasformazioni.
In un’altra tua performance il pubblico in un guardino aspettava l’ingresso di ballerini che si posizionavano in un cerchio tracciato sul terreno e lentamente si rivolgevano al cielo.
Lo spettatore è sempre spinto a fermarsi, sostare, catturare movimenti minimi che si definiscono in una dimensione spaziale ampia.
Come dicevo prima, ho sempre immaginato che da quei cerchi sia possibile guardare altri orizzonti.
Il 2015 è cominciato con una performance alla Rampa Prenestina, in questo suggestivo spazio circolare, e tutta la performance si svolgeva attorno ad una preghiera…. Ecco vedi, il 2015 è cominciato con una preghiera ed è finito con una scala da cui si fanno preghiere. Un percorso che evidentemente ha una certa direzione.
Intervista realizzata a dicembre 2015, presso l’Associazione Culturale TRAleVOLTE, Piazza di Porta San Giovanni, 10 • Roma
“About the weightless body” and other immaterialities
A talk with Paolo Assenza
by Gianfranco Valleriani
I met Paolo Assenza many years ago. I was impressed from the first opera I saw. Physical and intangible, technological and yet ancient. There was look, listening, concentration, silence. In front of “the body without weight” – the site specific work that closes the cycle of 10 year activity by the Association TRAleVOLTE – I felt the same emotions.
I talk about this with Paul, in front of his artwork.
Which was the inspiration of the work?
When I heard of the exhibition, I immediately thought that the work would have to have a close relationship with the ‘”architecture”, being “TRAleVOLTE” an Association working in this field. And the comparison involved both the artistic and personal dimension.
Obviously, the Holy Stairs was my main inspiration, as it lies behind this beautiful exhibition space. The heart of conceiving my work was there. For this I thought I had to live the experience of the Scala Santa and get into the spirit of the place.
So last year I first visited the Holy Stairs, which is said it was travelled by Christ, and I followed the pilgrims going up on their knees for 28 steps and stopping on each of them. A practice of suffering for the believer, who atones in this way faults and sins, to get redeemed at the end of the path. And I noticed the age-old practice of the faithful to put between the steps, into the existing gaps, prayers or requests for grace and forgiveness.
Going up, on my knees, I started to be aware about the element of the physical body, as the basic condition of the climbing ritual. And on the weight of the body and the flesh, which affects all the sorrows and evils, and on the prayers, as a time to overcome the guilt and evil, on these two elements I started to conceive my work.
I felt that I had to start from the concept of lightness, an opposite dimension to what you can feel going up the “Scala Santa”, appropriating instead the meaning and the dimension of prayer. So, I am arrived to my “immaterial” stairs, “the weightless body”, a scale that you can walk on without the weight of your body, but also disseminated, itself, by true prayers.
Has this artwork a meaning of passage also for your artistic route?
I think so. As if I reached those horizons that i have been painting until now, and I found the stairs to escalate towards an upper level.
I have always painted horizons and a circled point as direction. Imagining to exceed that moment, I always wondered what I would find in that horizon. Eventually I found a ladder that now is taking me to think of another moment of my work. Of course, there is a passage that I now probably have to do. Perhaps there will be twenty-seven artworks to conceive…
But one less than the 28 steps of the Scala Santa.
The steps of my work are 27, one less than the Scala Santa, because they are a point of contact between the tread and the riser.
What do you predict for the next future?
I’m still processing the experience of this work, which is here in front of me. During the opening day, I saw people entering and remaining in total silence, watching the steps gently floating into the void, following their movements … watching the light white tones of marble reflecting as black shadows…. I’m thinking about these images, about the immateriality and I really don’t know where my reasoning goes.
This time you approached architecture. But it is a path that you always fulfilled, in almost all your works.
My main expression is the painting, but I enjoy moving in adjacent areas, such as video or installations, performances, dance, theatre in which I have also been trained.
They are for me paths of completion. Making art for me is a process of crossing. When I feel the need of a new form of expression, then I start seeking it, I face it, I go inside, then I come out and I come back to my main road. Feelings and experiences I lived, they enrich my expression in painting.
There is, instead, a kind of continuity in the experience of your artwork.
The viewer faces an element of materiality but suddenly you suggest an estrangement, a distancing, almost a kind of transcendence.
I think there is something very similar to what you are suggesting, but I live it in a playful way. Rather than spiritual, I would call this situation a kind of “to be absent”. But for me it is a spontaneous process, because I do not carry around any tradition or training neither religious nor meditative.
In your first artwork that I saw, the audience was going up a stairs to look at a computer screen, through a window in a wall, on which a circle that was turning slowly was being displayed. The people stood in a line for several minutes to catch very small and slow changes. In another performance of yours, the audience in a garden was waiting for dancers who entered into a circle, which was drawn on the ground, and they slowly turned to the sky.
In many of your works, the viewer is spontaneous pushed to stop, to pause, in order to capture small movements into wide spatial dimensions.
As I said before, I have always imagined that from those circles it was possible to look at other horizons.
2015 started with my performance at the Rampa Prenestina, in an evocative circular space and the whole performance took place around a prayer … As you can see, 2015 began with a prayer and ended with a Holy Stair from where prayers are offered. A path that obviously has a certain direction.
Interview made in December at “TRAleVOLTE”, Cultural Association, Piazza di Porta San Giovanni, 10 Rome/Italy
*foto delle due pitture di Sebastiano Luciano